Un incantevole talento

«Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte» (Immanuel Kant)

Come ogni anno, durante le Feste natalizie, mi tocca il film Disney. A sto giro è stata la volta di Encanto. Un tripudio di colori, di note e di sfaccettature dell’animo umano. Un film sul talento – tema manifesto sin dall’inizio –, ma anche sull’autenticità, tema sotteso e cornice dell’intera narrazione.

Partiamo da quello dichiarato e chiediamoci socraticamente “Che cos’è il talento?”.

Generalmente si pensa che sia legato all’espressione artistica, come l’essere naturalmente inclini a qualcosa; una predisposizione naturale e una sorta di dono. È vero, il talento è anche questo, quindi qualcosa di evidente, che si manifesta in qualcosa di concreto, di tangibile; una dote, poi, visibile sin dai primi anni di vita. Spesso, difatti, la parola “talento” è accompagnata a quella di “genio”. Questo termine deriva dal greco γίγνομαι, che vuol dire sì “nascere” – confermando il carattere innato del genio – ma anche “generare”, “accadere” e “divenire”, suggerendo quindi come la genialità possa essere ricercata, scatenata da accadimenti o semplicemente manifestarsi col tempo. Ergo, penso che il talento possa essere perseguito da ciascuno di noi, intuìto e nutrito attraverso una profonda ricerca interiore, sfatando il comune sentimento che ne fa una mera dote riservata a pochi eletti, corredati ab origine di questa magica capacità. Vi sono, dunque, talenti nascosti, che vengono scoperti nel corso dell’esistenza. Proprio come avviene alla protagonista di questo variopinto film: Mirabel Madrigal.

Cercando di non spoilerare, la storia della giovane protagonista è la ricerca di sé e del proprio talento, all’interno di una famiglia portatrice della prima accezione di “talento”: tutti sono nati con un talento particolare, magico per di più. Tutti tranne Mirabel. Ella è, quindi, la pecora nera della stirpe Madrigal, sorta da un miracolo e che, da questo miracolo, trae forza e potere. Tutti i Madrigal hanno un talento speciale, ossia un dono naturale, che amplifica, conferma e mantiene intatta la magia di questa stirpe prodigiosa. Tutti, ad eccezione della protagonista, da sempre tollerata, guardata con commiserazione dai familiari, che la percepiscono come “diversa”, in quanto non dotata. Eppure il talento di questa ragazza gioiosa appare sin da subito allo spettatore attento: la sua capacità di incoraggiare il nipotino pavido (Antonio); di ascoltare le preoccupazioni della sorella forzuta (Luisa) che riesce a reggere tutto tranne il peso della responsabilità; di stimolare in quella perfetta (Isabela) il desiderio di imperfezione; di accogliere il dolore della scelta dello zio Bruno di mettersi da parte per un bene più grande…L’ascolto e la capacità di accogliere il dolore altrui è la forza di Mirabel, il suo dono, che la rendono geniale nella capacità di dare “regola alla famiglia”. Ad una famiglia che, rettasi sul dover essere della nonna – Abuela – pian piano riesce a dare voce ad un’armonia autentica liberando dai costrutti pregressi, imposti dalla vecchia fondatrice della “casìta”, creando delle fondamenta nuove, su nuovi valori, liberamente scelti.

Mirabel Madrigal è una piccola levatrice, che genera vita rinnovata e autenticamente scelta. Libera tutti dalle costrizioni e ridà vita alla vera magia: quella di scoprirsi sul serio famiglia, in cui ogni membro è fondamentale per l’altro, consapevole del fardello che ciascuno porta con sé. È una disvelatrice di verità, spesso dolorose, ma anche occasione per vivere radicati nella propria esistenza. Mirabel ha il talento, spesso sottovalutato, della “persona-collante”.

Diverse volte nelle famiglie, nelle relazioni in generale, le persone-collante sono messe da parte, rese capro espiatorio, ritenute deboli, travisate, evitate. Esse sono, invece, il perno su cui si regge la famiglia stessa, il fulcro della relazione medesima. Questo talento non è da tutti e, una volta riconosciuto, va coltivato, nutrito e messo al servizio degli altri. Abbiamo bisogno di persone in grado di seminare connessioni, di tirar fuori la verità, di farci vedere per quello che veramente siamo. Non sempre – come la nonna di Mirabel all’inizio – siamo disponibili ad ascoltarle. Ma se lo facciamo, possiamo guadagnare noi stessi e il legame con gli altri. Ci vuole talento anche per questo: per tenere assieme. Essere collante. Non si tratta solo di talento artistico, che si esplica in un’opera concreta, tangibile. L’arte, d’altra parte, è ponte tra l’interiorità dell’artista e l’esteriorità del fruitore dell’opera. E ditemi se non è talento anche la capacità di tenere assieme le persone, di mantenere i legami, risignificarli e renderli manifesti, di creare “casa”.

Tutto questo discorso è inscritto nella cornice del macro-tema dell’autenticità, si diceva all’inizio.

La nonna Abuela instilla in ogni Madrigal l’imperativo del “rendi fiera la tua famiglia!”. Nonostante la mancanza (apparente) di un talento, Mirabel si alza ogni mattino cercando di realizzare questo diktat e lavora, costantemente, per non deludere le attese dell’anziana che regge le redini della famiglia e che custodisce la magia. Così tutti i personaggi: nonostante il talento li appesantisca, impedendo loro di esprimersi a prescindere da quello e oltre quello, scelgono di rigare dritto e di non disattendere alle direttive della matriarca. Sino a quando Maribel non dà loro la possibilità di esprimere lo scontento e il senso di mancata realizzazione che li inabita, attraverso le doti relazionali che abbiamo descritto. Le canzoni che ciascuno di loro intona – al cospetto della socratica Maribel – sono delle vere e proprie confessioni di mancato riconoscimento, di presa di coscienza di uno stato di inautenticità in cui, sino a quel momento, hanno portato avanti le loro esistenze. Luisa sente un “crac”: il dubbio si fa strada in lei e si chiede “e se non ce la farò?”; ma non può non farcela, perché Abuela conta sulla sua forza titanica; la perfetta Isabela, che ha il dono di creare fiori profumosi e delicati, lascia emergere il coraggio di creare qualcosa con le “spine”, finalmente rispondendo alla domanda “e se seguissi il mio cuore non temendo alcun errore?”. La paura dell’imperfezione lascia il passo al suo desiderio di esprimersi completamente, luce e ombra: dismette la via del necessario – il “così si fa” della nonna – per la strada della libertà. Sono, insomma, esempi di come queste persone, sedicenti parte di una famiglia, hanno seguito ciecamente, in maniera gregaria, un ideale non proprio, bensì altrui. Hanno perseguito un dover essere che poi non è, per non rovinare le apparenze, per non intaccare la magia su cui un intero paese conta: hanno ascoltato la regola di Abuela. Quella stessa donna che ha insegnato loro a “non nominare Bruno”, il visionario figlio che aveva vaticinato la possibilità della fine della magia Madrigal e che, per questo, è stato messo al bando, in quanto scomodo. Il paradosso è che Abuela stessa non ha talento, esattamente come la nipote pecora nera e foriera – per lei – della distruzione della stirpe. Alla fine l’encanto di Mirabel tocca anche la nonna e tutto torna al suo posto, in maniera però risignificata, mediante la libera scelta di ogni membro di ricoprire sì il proprio ruolo, ma rispettando anche i propri desideri più reconditi, le proprie fragilità e praticando una sincera tolleranza reciproca. La porta che Mirabel apre in ultimo è quella dell’Autenticità, in cui ogni persona ha la possibilità di essere se stessa, con gli altri. Le “crepe” sono occasione per ricostruire: vanno accolte e dipanate nel loro significato.

“Casa in frantumi, ma questa è un’occasione
Quando hai dei dubbi, mai dire mai, e vai
Questa famiglia è una costellazione
Ognuno è un astro che brilla e splende più che mai

Ma ogni stella prima o poi
Brucia e cessa di guidarvi
Così il talento in voi
Non può più ostacolarvi”.

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