“Filosofia di Bene” è il nome che ho scelto per connotare la mia attività di counselor filosofico. L’idea nasce dal gioco col mio cognome (Dibenedetto), ma soprattutto dall’intento che mi sta a cuore: il Bene delle persone. Che cosa è il Bene cui cerco di accompagnare le persone che mi si rivolgono? Diventare ciò che si è, proprio come esprime la frase delle Enneadi di Plotino citata nella Homepage di questo sito.
Penso che oggi il concetto di Bene sia declinato soprattutto come “benessere”. E non ci sarebbe nulla di male in questo se non fosse che, ciò che ne emerge, è un quadro fatto di manuali di self-help che pretendono di insegnarti come stare bene, come raggiungere la felicità, cosa fare per evitare il dolore e raggiungere il tuo fine nel minor tempo possibile. Io credo nella bontà delle intenzioni di queste iniziative, ma non posso evitare di rilevare come in esse sia il risultato a contare più che il percorso per arrivare a quel fatidico “ben(essere)”. Perché in tali proposte manca proprio l’Essere, ossia l’attraversamento – anche faticoso – di se stessi per arrivare a dei risultati duraturi, frutto di applicazione, esercizio e del tentativo di conoscersi veramente. Se si sta male, è bene cercare degli strumenti, dei modi per poter stare meglio, ma spesso si pensa che la scorciatoia del “pronto all’uso” sia la strada giusta per arrivare in fretta all’obiettivo. In questa corsa per uscire dal dolore, dimentichiamo dunque il valore stesso della sofferenza: siamo dotati della capacità di soffrire non a caso, appunto per poter capire che qualcosa nella nostra vita non va. Per cui il dolore non deve essere ottuso, ignorato o superato a piè pari; bisogna invece ascoltarlo, accoglierlo e chiederci cosa voglia dirci. Anche il corpo ci mette in guardia quando qualcosa non va; allo stesso modo la sofferenza interiore ci allerta quando affiora dentro di noi. Quindi, il Bene cui si tende in un percorso di Counseling Filosofico è un fine che deve sostare anche nella sofferenza, che ne riconosce il potenziale. Non possiamo pensare che l’esistenza debba sempre scorrere senza intoppi, senza sofferenza, fisica e interiore. Purtroppo la tendenza imperante oggi è quella del “rimedio” per ogni male, anche dell’anima, del ricorso alla pillola per uscire al più presto da quella sofferenza, per stordirla. Invece, senza inneggiare al masochismo, penso si debba valorizzare la vita nella sua complessità, accettandola ovvero in tutti quegli aspetti che oggi tendono ad essere rimossi, non indagati, taciuti: la sofferenza, la malattia, la vecchiaia, la morte stessa. Viviamo come se non dovessimo mai ammalarci, soffrire, invecchiare o morire. Invece questi elementi compongono la vita in tutta la sua ricchezza. Il Bene che mi preme tiene, dunque, conto di queste sfaccettature dell’esistenza e cerca di dare loro voce.
In maniera funzionale ad emblematizzare tutto ciò, la scelta del logo, che si compone di due elementi: l’infinito e due frecce.
L’infinito è, per me, simbolo dell’inesauribilità di cui ciascuno di noi è portatore. Questo definisce la cornice antropologica entro cui svolgo il mio intervento di counselor filosofico: incontro una persona che, sì mi si apre, che cerco di accogliere – con empatia e assenza di giudizio – nel tentativo di comprendere la sua visione del mondo, ma che mi rimarrà pur sempre oscura per certi versi; quindi sono sempre consapevole del fatto che – e suona paradossale, me ne rendo conto – non potrò mai conoscerla pienamente, perché il linguaggio ha dei limiti, perché ha una storia che non potrò mai ripercorrere pienamente nel tempo che mi sarà concesso per accompagnarla in questo viaggio. Ciò, apparentemente, può risultare frustrante, ma io penso che in questa consapevolezza del limite di accesso all’Altro risieda anche la sua “bellezza”, la sua unicità, che mi porta ad essere attenta a custodire il mistero di cui è portatore. Quindi credo, ermeneuticamente, che l’empatia sia praticabile solo come immedesimazione nell’Altro e mai come completa identificazione, poiché siamo due singoli – unici e irripetibili – che entrano in relazione, che danno vita ad uno scambio altrettanto unico e irripetibile.
Inoltre, ho scelto l’infinito perché – attraversato dall’incrocio delle due frecce che lo compongono –, dà vita ad un “infinito spezzato”, a simboleggiare ciò che – per me – è la cifra esistenziale dell’essere umano: la Finitudine. Siamo inesauribili pur destinati ad “esaurire”, ossia la nostra vita è circoscritta dalla necessità della nascita e della morte. In mezzo, tuttavia, vi è lo spazio della libertà, in cui ciascuno di noi ha la possibilità di vivere in maniera congrua rispetto alla propria statua. Ognuno ha il diritto (e forse anche il dovere) di poter dispiegare se stesso rispetto alla finitezza cui è destinato, tendendo a divenire chi è veramente, in maniera autentica. Spesso non si riesce da soli, per impedimenti e circostanze della vita che è difficile affrontare in solitudine, e il counseling filosofico è una via per poter dipanare la matassa in cui ci sentiamo imbrigliati, ritrovando il bandolo della libertà che ci permette di uscire dall’impasse stesso. Per questo, le frecce partono in due, ma diventano una: si intraprende il cammino di counseling assieme, due finitudini in dialogo (la mia e quella del consultante), ma ad arrivare – nello scambio reciproco – è uno, ossia la persona che abbraccia il percorso. Almeno questo dovrebbe essere il fine della relazione di aiuto: l’autonomia e la chiarificazione del consultante a se stesso, mediante la facilitazione del counselor filosofico che si limita ad accompagnarlo in questo processo di rinascita a se stesso, come un arco che scaglia lontano le proprie frecce. Il singolo che si rivolge al counselor deve essere “scoccato” oltre il rapporto stesso, diventare autonomo e libero di camminare sulle proprie gambe, di cui ha riconquistato padronanza, stabilità, libertà di movimento. E, per quanto sia sempre difficile congedare una persona con cui hai viaggiato tanto intensamente, bisogna lasciarlo andare.
Questa la dichiarazione di intenti sottesa alla scelta del nome e del logo.